IL TRIBUNALE MILITARE DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato, all'udienza del 13 maggio 1991, la seguente ordinanza. 1. - In data 11 aprile 1991 il militare Del Prete Walter Roberto, nato a Zurigo il 2 gennaio 1970 e residente a Pesaro in via Serrati n. 29, condannato con sentenza 15 gennaio 1991 del tribunale militare di Roma (irrevocabile il 17 marzo 1991) alla pena di mesi quattro di reclusione militare per il reato di rifiuto del servizio militare di leva (art. 8 legge 772 del 1972), ha presentato, tramite il sui Difensore di fiducia avv. Roberto Lorenzini, al procuratore militare della Repubblica presso il predetto tribunale istanza di affidamento in prova di cui alla legge n. 167 del 1983 ancor prima dell'inizio della detenzione. Con provvedimento in data 13 aprile 1991 il citato procuratore, ritenendo nella specie applicabile la disciplina dettata dall'art. 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, quale modificato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 569 del 1989, ha sospeso l'emissione dell'ordine di esecuzione di pena a carico del condannato e ha disposto la trasmissione degli atti a questo tribunale militare di sorveglianza. 2. - Diversamente da quanto opinato dal procuratore militare di Roma, il tribunale ritiene che nella fattispecie l'art. 47 della legge n. 354 del 1975 non possa trovare applicazione; ed invero sembra in proposito appena il caso di rilevare che l'istituto dell'affidamento in prova del condannato dall'autorita' giudiziaria militare risulta autonomamente disciplinato con la speciale normativa dettata dalla legge 29 aprile 1983, n. 167, che, tra l'altro, prevede indefettibilmente, per l'adozione del provvedimento, l'osservazione per almeno un mese nello stabilimento militare di pena (art. 2, primo comma, legge ultima citata). Consegue da quanto precede che alla stregua della vigente normativa l'istanza inoltrata dal Del Prete dovrebbe dichiararsi inammissibile per difetto delle condizioni di legge. 3. - Peraltro, prima di pervenire alla sopraindicata conclusione il tribunale ritiene di dover considerare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale proposta dal difensore dell'instante in via subordinata nelle conclusioni finali e, quindi, di dover prospettare il dubbio circa la conformita' dell'articolo 2, primo comma, della legge n. 167 del 1983, agli art. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione. In proposito appare illuminante la motivazione della citata sentenza 13-22 dicembre 1989, n. 569 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 47, terzo comma, della legge n. 354 del 1975, cosi' come modificato dall'art. 11 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui non prevede che, anche indipendentemente dalla detenzione per espiazione di pena o per custodia cautelare, il condannato possa essere ammesso all'affidamento in prova al servizio sociale se, in presenza delle altre condizioni, abbia serbato un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al precedente secondo comma dello stesso articolo. Nella sopraindicata decisione si legge che nel corso degli anni l'istituto dell'affidamento in prova al servizio sociale, cosi' come introdotto dall'art. 47 della legge n. 354 del 1975, ha subito numerose e rilevanti modificazioni che ne hanno attenuato gli originari caratteri provocando una sostanziale trasformazione della sua stessa natura. Ed invero, ha soggiunto la Corte, a parte le modifiche intervenute in ordine alla soppressione di talune preclusioni (art. 4 legge 12 gennaio 1977, n. 1 e 7 legge 13 settembre 1982, n. 646), gia' con l'art. 4- bis, inserito nel decreto legge 22 aprile 1985, n. 144 al momento della conversione nella legge 21 giugno 1985, n. 297 il periodo di osservazione venne diminuito da tre a un mese, e con l'art. 4- ter, pure inserito in sede di conversione, venne formulato l'art. 47- bis della legge n. 354 che, consentendo al tossicodipendente o alcool-dipendente, che avesse gia' in corso un programma di recupero, di chiedere l'affidamento in prova senza osservazione in carcere, ha sconvolto la stessa filosofia dall'istituto privandolo del suo carattere originario, che lo voleva riservato ai detenuti in espiazione carceraria. Ma, ha osservato ancora la Corte, fu, infine, l'art. 11 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, che riformando totalmente il testo dell'art. 47, porto' a termine l'opera di progressiva demolizione attribuendo alla linea generale dell'istituto una natura ibrida e contraddittoria. Ed infatti, mentre i primi due commi del nuovo art. 47 mantenevano in sostanza integro l'originario istituto, riservato ai detenuti in espiazione carceraria della pena, i due commi successivi introducevano una nuova specie di affidamento, che prescinde del tutto dall'osservazione in carcere e la sposta, invece, sul comportamento tenuto dal condannato nel periodo di liberta' successivo ad una eventuale custodia cautelare, di qualsiasi durata. A questo punto, prosegue la sentenza della Corte, deve evidenziasi che la nuova formulazione dell'art. 47, terzo comma, ha dato vita a gravissimi problemi; ed invero, se il periodo di custodia cautelare non serve all'osservazione che viene spostata su quello successivo della liberta', e se, per questo, non occorre nemmeno piu' che sia rispettato il termine di almeno un mese stabilito dal comma precedente appare oscuro il significato di questa condizione che si pone come inutile presupposto della grave deroga alla disciplina generale, rimasta ferma nei primi due commi. Una deroga che fa dell'affidamento previsto nei commi terzo e intermedio, dopo una custodia cautelare, anche di brevissia durata, abbia tenuto un comportamento tale da consentire un giudizio prognostico favorevole in termini rieducativi. Ma, ha avvertito ancora la Corte, l'elemento della custodia cautelare, che dovrebbe giustificare il diverso e sfavorevole trattamento riservato a chi non ha avuto la ventura di incorrervi, e' privo di significato ai fini del gudizio di idoneita' del soggetto alla rieducazione, specialmente quando si tratti di un periodo brevissimo; il che significa che e' anche privo di significato in termini di art. 27, terzo comma, della Costituzione. Ed invero, a parte la considerazione che la custodia cautelare puo' dipendere da varie e imprevedibili circostanze (art. 274, lett. a, b, c, del c.p.p.) deve comunque rilevarsi che poiche' le misure cautelari coercitive possono essere applicate soltanto quando si proceda per delitti per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni, l'affidamento finirebbe per essere riservato a coloro che, avendo commesso reati piu' gravi o avendo dimostrato maggiore pericolosita', sono stati sottoposti alle misure predette. Ma, si legge ancora nella decisione, sembra, difficile sostenere che questi posseggano maggiore idoneita' alla rieducazione rispetto a chi non abbia sperimentato la custodia cautelare. Ne consegue, ad avviso della Corte, che l'unico elemento significativo rimasto a contraddistinguere la disciplina comune dell'affidamento, vuoi del detenuto in espiazione, vuoi del condannato ancora in liberta', vuoi del condannato tossico o alcooldipendente e' l'osservazione del comportamento ai fini del giudizio prognostico di idoneita' del soggetto alla rieducazione: osservazione che il legislatore ha ormai riconosciuto poter utilmente avvenire tanto durante l'espiazione carceraria della pena (47, secondo comma), quanto in liberta' (47, terzo comma, e 47- bis). Pertanto, conclude la sentenza, il punto di discrimine incentrato su una custodia cautelare, anche di brevissima durata, per ammettere o escludere l'affidamento di chi non si trovi in espiazione di pena, si presenta incompatibile con i principi di cui agli art. 3 e 27 della Costituzione. 4. - Esposto tutto quanto al punto che precede con l'ampiezza resa necessaria dall'importanza della questione trattata, osserva il Tribunale che la speciale normativa dettata dalla legge 29 aprile 1983, n. 167 e' stata introdotta proprio al fine di estendere al condannato dall'Autorita' giudiziaria militare, con gli indispensabili adattamenti richiesti dalla particolare finalita' della pena militare, l'istituto previsto dall'art. 47 della legge 354 del 1975. Tale speciale normativa, peraltro, se si prescinde dall'adeguamento della durata dell'osservazione nello stabilimento militare di pena (ridotta da tre mesi a un mese dall'art. 1, n. 1, legge 23 dicembre 1986, n. 897 in conformita' di quanto disposto per l'affidamento al servizio sociale dell'art. 4- bis legge 21 giugno 1985, n. 297), e' rimasta del tutto estranea all'evoluzione dell'istituto comune, culminata con la dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 47, terzo comma, legge 354 del 1975. Si e' in tal modo venuta a creare, ad avviso del collegio, una irragionevole ed ingiustificata disparita' di trattamento in danno del cittadino alle armi. Ed infatti, se e' vero che nella legge n. 167 del 1983 appare pienamente giustificata l'esistenza di norme speciali dirette a realizzare gli indispensabili adattamenti richiesti dalla specialita' degli organi giudiziari militari e del diritto penale militare, nonche' dalla necessita' di distinguere a seconda che il condannato abbia terminato oppure no il periodo della ferma (ad esempio le disposizioni di cui agli artt. 4, 3, 8 e 9 in materia di competenza, di modalita' per l'affidamento, di legittimazione alla richiesta del beneficio, di comunicazione all'autorita' di pubblica sicurezza), e' altrettanto vero, ad avviso del tribunale, che tali esigenze di specialita' non possono ragionevolmente spingersi fino al punto di porre nel nulla un principio di valenza assolutamente generale (l'equivalenza, cioe', tra l'osservazione durante l'espiazione carceraria e l'osservazione in liberta') che, pur affermato dalla Corte costituzionale relativamente all'istituto comune, sembra dover valere, per evidenti ragioni di eguaglianza, anche in ordine all'istituto speciale. Ne' pare al tribunale che la indefettibile osservazione intramurale possa essere giustificata dalla peculiare configurazione dell'istituto dell'affidamento in prova del condannato militare che prevede che lo stesso sia affidato non gia' al servizio sociale (per essere da questo controllato ed aiutato a superare le difficolta' di adattamento alla vita sociale) ma a un comando o ente militare, ovvero o un ufficio o ente pubblico un militare per la prestazione di un determinato servizio. Ed invero, sembra in proposito al collegio che, pure in presenza di tale particolare configurazione dell'istituto, sufficienti ad adeguati elementi di valutazione possano trarsi, ai fini dell'adozione del provvedimento, dalle informazioni degli organi di polizia e dalle risultanze delle visite attitudinali eseguite all'atto della selezione. Oltre che con l'art. 3 della Costituzione, il tribunale ritiene, infine, che l'art. 2, primo comma, della legge 29 aprile 1983, n. 167, confligga anche con l'art. 27, terzo comma perche', prevedendo indefettibilmente l'osservazione intramurale per almeno un mese, viene, in sostanza, ad eludere la finalita' rieducativa delle pene detentive e in particolare di quelle meno gravi. La rilevanza della prospettata questione appare evidente perche', ove si ritenesse indispensabile l'osservazione nello stabilimento militare di pena, l'istanza dovrebbe essere dichiarata inammissibile.